Collaboratrice di Immobiliare.it
Secondo la normativa italiana, ogni contratto di affitto a uso abitativo o commerciale, deve essere registrato presso l’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dalla stipula. La registrazione garantisce la validità del contratto, tutelando locatore e inquilino, conferendo “dati certi” al documento e rendendo noto il contenuto al Fisco.
L’omessa registrazione comporta la nullità del contratto, con conseguenze sia per il proprietario che per l’inquilino.
Nel caso di un contratto di affitto non registrato, la legge stabilisce che il proprietario non ha diritto a riscuotere il canone d’affitto concordato nel contratto. Tuttavia, il locatore può richiedere una “indennità di occupazione” per compensare l’utilizzo dell’immobile da parte dell’inquilino.
Questa indennità è generalmente inferiore all’importo del canone originario e viene calcolata dal giudice in base alla durata dell’occupazione e alla tipologia di immobile.
L’inquilino che scopre di vivere in un immobile con contratto non registrato, ha il diritto di chiedere la restituzione dei canoni d’affitto già pagati. Una possibilità di fatto sancita dall’articolo 2033 del Codice civile, in cui si specifica che chi ha effettuato un pagamento non dovuto, ha il diritto di ottenere la restituzione.
La Corte di Cassazione ha confermato che l’inquilino può avanzare una richiesta di rimborso entro sei mesi dal rilascio dell’immobile, chiedendo la restituzione di tutte le somme versate secondo un contratto che, di fatto, è nullo.
Diverse sentenze della Corte di Cassazione hanno rafforzato la posizione dell’inquilino in caso di contratto di locazione non registrato. La più rilevante afferma che il locatore non può pretendere il pagamento dei canoni non percepiti né avviare una procedura di sfratto per morosità, poiché il contratto è considerato nullo.
Il proprietario ha però la possibilità di avviare una causa ordinaria per ottenere la liberazione dell’immobile, con tempi decisamente più lunghi rispetto a uno sfratto ordinario.
La legge prevede tuttavia la possibilità di registrare tardivamente il contratto di affitto, regolarizzando la situazione fiscale, salvando in tal modo i canoni di locazione arretrati. Questo tipo di sanatoria che ha effetto retroattivo, obbliga l’inquilino a versare quanto stabilito nel contratto, una volta che la registrazione è stata completata.
Tuttavia, se il contratto viene registrato tardivamente, il locatore dovrà pagare le sanzioni previste, che possono variare dal 60% al 240% dell’imposta di registro non versata, in base al ritardo accumulato.
In assenza di contratto registrato, il locatore ha comunque il diritto di richiedere l’indennità di occupazione. Questa indennità rappresenta un’equa compensazione per l’utilizzo dell’immobile da parte dell’inquilino. La somma viene determinata dal giudice, tenendo conto delle caratteristiche dell’immobile e del periodo di occupazione, senza però coincidere con l’importo del canone pattuito nel contratto nullo.
La Corte di Cassazione ha ribadito che questo principio si applica sia alle locazioni abitative che a quelle commerciali.
È importante sottolineare che la registrazione del contratto di locazione non è solo un obbligo fiscale, ma un requisito legale che protegge entrambe le parti. I contratti “in nero”, ossia stipulati verbalmente o con scritture private non registrate, espongono i proprietari al rischio di pesanti sanzioni fiscali e alla nullità del contratto.
Per evitare sanzioni amministrative e problematiche legali derivanti dalla mancata registrazione, è fondamentale che i proprietari rispettino l’obbligo di registrare il contratto entro i termini previsti. Se il locatore ritarda la registrazione, è possibile usufruire del “ravvedimento operoso registrazione”, una procedura che consente di ridurre le sanzioni se la registrazione avviene prima di un accertamento fiscale.