Avvocato e Giornalista
Prima di tutto una premessa fondamentale: l’art. 1138 del Codice Civile dispone che il regolamento di condominio non può vietare di possedere animali domestici in casa.
Si tratta di un divieto assoluto. Si ritiene, infatti, che la norma non possa essere “superata” neanche con il regolamento di natura contrattuale, cioè approvato con il consenso di tutti i condomini.
Il cane dovrebbe essere ammesso a tutte le aree che spettano al proprietario dell’immobile, anche sulle parti comuni. Di conseguenza, qualsiasi divieto o limitazione al loro esercizio dovrebbe essere considerato nullo.
Il proprietario dell’animale deve comunque curare che il cane non danneggi le parti comuni o non le renda inservibili agli altri condomini.
Il regolamento di condominio può sempre fissare delle regole di utilizzo delle parti comuni, a patto che non si traducano in limitazioni talmente stringenti da renderne impossibile l’uso da parte del cane.
Per esempio, la facoltà di utilizzo dell’ascensore con il proprio cane non è comprimibile (purché tale facoltà spetti anche al proprietario del cane), ma deve essere esercitata in modo da non pregiudicare gli altri condomini.
Il singolo condomino è civilmente responsabile dei danni causati dall’animale di sua proprietà, sia che fosse sotto la sua custodia sia che fosse smarrito o fuggito salvo che provi il caso fortuito.
La responsabilità incorre tutte le volte che il danno sia stato prodotto con diretto nesso causale da un fatto proprio dell’animale, a prescindere dall’agire dell’uomo.
La norma di riferimento è quella contenuta nell’articolo 2052 del Codice Civile. Tale disposizione stabilisce a carico del proprietario dell’animale una presunzione di colpa. La responsabilità è presunta ed è fondata non sulla colpa ma sul rapporto di fatto con l’animale.
Pertanto, il proprietario risponde in ogni caso per i danni cagionati al terzo, anche se affidati a terzi, a meno che non dia la prova del fortuito.
Ai sensi dell’art. 844 del Codice Civile: “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi“.
Tale disposizione si applica anche ai rumori prodotti dagli amici a quattro zampe. Tuttavia, la legge non fissa una misura di decibel oltre la quale l’abbaiare del cane è vietato, né tantomeno fissa un orario oltre il quale i latrati non sono consentiti.
Occorre dunque valutare caso per caso applicando il criterio generale della “normale tollerabilità”.
Secondo i giudici, in particolare, il rumore deve ritenersi intollerabile allorché, sul luogo che subisce le immissioni, si riscontri un incremento dell’intensità del livello medio del rumore di fondo di oltre 3 decibel.
Quindi, i condomini devono ridurre al minimo le occasioni di disturbo e prevenire le possibili cause di agitazione dell’animale, soprattutto nelle ore notturne.
Occorre, però, tenere presente che la natura del cane non può essere coartata al punto da impedirgli del tutto di abbaiare. Episodi saltuari di disturbo da parte dell’animale possono e devono essere tollerati dai vicini, in nome dei principi del vivere civile.
L’altra faccia dei rumori considerati intollerabili, provocati da animali domestici, riguarda le ulteriori possibili conseguenze in ambito penale.
In questo caso, è configurabile il reato di disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone. La norma impone ai padroni degli animali di “impedirne lo strepito”, senza che possa essere invocato, in senso contrario, un “istinto insopprimibile” ad abbaiare dell’animale per sostenere l’insussistenza del reato”.
Peraltro, affinché si possa procedere a un reclamo, non è sufficiente che un vicino lamenti il rumore dell’abbaio. È necessario che le emissioni sonore moleste siano idonee ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone in presenza di un luogo abitato.
La legge non contempla solo i rumori molesti, ma ogni tipo di emissione intollerabile. Sono quindi compresi anche fumi, esalazioni e odori sgradevoli, condizioni che possono verificarsi con una certa frequenza, per esempio quando qualche proprietario non si preoccupa di pulire le deiezioni canine o a causa delle scarse condizioni igieniche degli animali.
Le esalazioni sgradevoli emesse da animali all’interno delle abitazioni possono integrare anche il reato di “getto di cose pericolose”.
Questa eventualità si può configurare anche in presenza di una condotta omissiva, che può essere integrata dall’omessa custodia di animali, qualora dall’omissione stessa siano derivate “molestie olfattive”.
Un’altra ipotesi può riguardare i versamenti di deiezioni animali nell’appartamento sottostante che offendono, imbrattano o molestano beni e persone.
Non esistono limiti al numero di animali che possono essere detenuti in condominio.
Limiti di questo tipo inseriti nel regolamento condominiale dovrebbero intendersi nulle ai sensi dell’articolo 1138 del Codice Civile. Occorre comunque tenere sempre presente le specifiche caratteristiche del singolo animale e osservare le comuni regole di buon senso e del vivere civile.
Attenzione al rispetto delle più comuni regole d’igiene. Può accadere che il condomino si circondi di un numero di animali talmente elevato da impedirgli non solo la cura di ciascun animale, ma addirittura il compimento delle quotidiane azioni di pulizia della abitazione, con conseguente esalazione di odori sul pianerottolo condominiale.
Un numero troppo elevato di animali può comportare infine pregiudizi anche al decoro del condominio.
*Questo contenuto ha scopo informativo e non ha valore prescrittivo. Per un’analisi strutturata su ciascun caso personale si raccomanda la consulenza di professionisti abilitati.