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Case, Ville e Condomini 7 ottobre 2025

Tutela delle parti comuni: quando il singolo condomino può agire in giudizio?


La Corte di Cassazione individua i casi nei quali il singolo può agire nell’interesse del condominio: cosa sapere.
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Roberto Rizzo

Avvocato, collaboratore esterno di Immobiliare.it

Uno degli aspetti di maggiore criticità della materia condominiale, a oggi non risolto dalla Legge di Riforma del condominio numero 220/2012, riguarda la mancanza di una personalità giuridica piena da parte dell’ente di gestione e le implicazioni che essa comporta dal punto di vista pratico e processuale.

Infatti, non avendo il condominio una propria e autonoma personalità giuridica distinta da quella dei membri che ne fanno parte, analogamente a quanto accade per le società di capitali, occorre individuare il soggetto al quale spetta la rappresentanza processuale della compagine condominiale.

Amministratore e singoli condomini: chi può agire a tutela del condominio?

La questione che molto spesso la giurisprudenza si è trovata ad affrontare si pone nei termini seguenti: la rappresentanza processuale della collettività dei condòmini spetta in via esclusiva sempre e soltanto all’amministratore, nominato dall’assemblea, oppure deve riconoscersi anche al singolo condòmino la possibilità -concorrente con quella del mandatario- di agire in giudizio a tutela degli interessi del condominio?

E nel caso di risposta affermativa, in quali ipotesi può riconoscersi l’ammissibilità di una simile iniziativa –anche processuale- in capo al singolo?

La natura dei diritti oggetto di tutela

L’oggetto della tutela e la natura dei diritti rispetto ai quali si intende procedere in via giudiziaria, o per affermarli nei confronti dei terzi o per difenderli dalle iniziative altrui volte a minacciarne l’integrità, sono sicuramente rilevanti.

Una cosa, infatti, è la tutela delle parti comuni, un’altra l’esecuzione delle delibere assembleari o la sottoscrizione di un contratto (per esempio un appalto) vincolante per il condominio: a seconda della specificità del caso concreto, è possibile effettuare delle sostanziali distinzioni.

La posizione della Corte di Cassazione

Sul punto, si è pronunciata più volte la Corte di Cassazione, che ha fornito la corretta chiave di lettura per interpretare la norma del codice civile che sancisce la rappresentanza processuale dell’amministratore di condominio, l’articolo 1131, che così recita:

“Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi. Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto. (…)”.

Tale disposizione deve essere interpretata nel senso che all’amministratore spetta la generale rappresentanza del condominio, sulle questioni di interesse generale; ai singoli condòmini può essere riconosciuta una concorrente capacità rappresentativa solo sulle questioni afferenti alla tutela e alla salvaguardia dei beni comuni, dei quali loro sono –e restano- pur sempre comproprietari, indipendentemente dalla presenza dell’amministratore nominato (Cass. Civ. Sezioni Unite, sentenza n. 10934 del 18 aprile 2019).

Analisi di un precedente specifico

Particolarmente interessante, ai fini della nostra indagine, la recente sentenza della Corte di Cassazione, numero 25148 del 13 settembre 2025 che, nel negare il diritto del singolo condòmino di agire in giudizio in via autonoma per assicurare l’esecuzione di una delibera assembleare, ha chiaramente evidenziato quale sia la corretta ripartizione della rappresentanza del condominio tra l’amministratore e i singoli partecipanti alla compagine condominiale.

In particolare, secondo la Suprema Corte:

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