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Fetta di polenta: è chiamata così una delle architetture più curiose della città di Torino e sicuramente fra le case più strane di Italia. Siamo in via Giulia di Barolo, 9, in pieno centro del capoluogo piemontese, poco lontani dalla Mole Antonelliana.
Lunga, stretta e dipinta di giallo, Casa Scaccabarozzi – questo il nome ufficiale dell’edificio – non colpisce solo per il suo aspetto, ma anche per la curiosa storia
Che racchiude fra le sue mura.
Casa Scaccabarozzi, la sfida di Alessandro Antonelli
Il progetto è di Alessandro Antonelli che a Torino si distinse anche per aver firmato il più noto monumento cittadino, la Mole Antonelliana.
Ricompensato per alcuni lavori svolti con la cessione di un terreno, l’architetto cercò di acquistare un altro lotto di terra confinante per potervi costruire. Non riuscendo a portare a termine la compravendita decise però di non arrendersi e di realizzare lo stesso un edificio, nonostante gli spazi ridotti. Casa Scaccabarozzi venne costruita in diversi momenti: nel 1840 vennero realizzati i primi quattro piani mentre altri due vennero aggiunti successivamente, infine nel 1881, come ulteriore sfida a chi riteneva impossibile la costruzione del palazzo, venne aggiunto anche l’attuale ultimo piano.
La fetta di polenta più grande che ci sia è a Torino: le misure
La forma della struttura è trapezoidale-triangolare e molto stretta, mentre le sue misure sono di 16 m x 5 m x 54 cm. Il palazzo conta 9 piani, di cui due sotterranei collegati da una piccola scala a forbice in pietra. Il lato più stretto, di soli 54 cm, ospita la canna fumaria del palazzo, per ottimizzare al meglio gli spazi. In tutto Casa Scaccabarozzi è alta 24 metri.
Un omaggio alla moglie
Il vero nome del palazzo, Casa Scaccabarozzi, rende omaggio alla moglie di Antonelli, Francesca Scaccabarozzi, nobildonna originaria di Cremona. I coniugi vissero nel palazzo per alcuni anni prima di trasferirsi in un’altra residenza vicina, sempre progettata da Antonelli, in via Vanchiglia 9, all’angolo con corso San Maurizio. Anche la scelta di vivere nel palazzo fu legata al desiderio di zittire le voci sul palazzo, in particolare di chi sosteneva che non potesse essere sicuro.
*Immagine in alto – credits to @mutuiqui