Nell’ambito della gestione condominiale, può spesso accadere che gli amministratori di condominio, per far fronte alla scarsa liquidità causata dalla mancata corresponsione delle quote da parte dei condòmini morosi, propongano all’assemblea di approvare un fondo cassa speciale, finanziato dai condòmini solventi, attraverso il pagamento di una rata ulteriore, così da ripartire, pro quota, i contributi condominiali di chi non paga.
In questi casi si discute se possa essere considerata legittima la decisione dell’assemblea di costituire il cosiddetto “fondo cassa morosi“, utile per compensare le quote non corrisposte dagli insolventi, sì da consentire all’amministratore di attingere a tali somme per il pagamento delle spese condominiali.
Cosa dice il Legislatore?
Le ragioni di tale annosa discussione originano dal fatto che il Legislatore non ha inteso disciplinare la possibilità dell’assemblea di istituire una simile tipologia di fondo.
È noto, infatti, che il legislatore, all’art. 1135 n. 4 c.c., ha previsto la possibilità di costituire un fondo speciale, ma soltanto per la realizzazione di opere manutentive straordinarie o innovative.
Sul punto, è di recente intervenuta la sentenza del Tribunale di Roma del 16 maggio 2023, n. 7695, con cui il Giudice ha rigettato l’impugnazione della deliberazione di un’assemblea condominiale volta alla costituzione di un fondo cassa condominiale destinato alla copertura delle morosità.
Il Giudice capitolino aveva ritenuto valida l’approvazione assembleare del cosiddetto ”fondo cassa morosi”, la quale era stata assunta con la maggioranza di cui all’articolo 1136, comma 2, c.c., in un momento di effettiva ed improrogabile urgenza, in quanto la decisione era stata assunta per evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti dal vincolo di solidarietà passiva nei confronti dei terzi creditori, motivando la propria decisione richiamando due precedenti sentenze della Corte di Cassazione (Cass. 5 novembre 2001, n. 13631, e Cass. 18 aprile 2014, n. 9083).
Tali sentenze, tuttavia, si sono mosse in un contesto legislativo differente, trovando applicazione l’impianto normativo ante la riforma della L. 220/2012.
Nel contesto attuale, una deliberazione, presa a maggioranza, che abbia l’effetto di istituire un fondo cassa ad hoc tale da far insorgere in capo ai condomini, in regola coi pagamenti delle spese, l’obbligo di sopperire all’inadempimento dei morosi, ampliandone la responsabilità patrimoniale sussidiaria rispetto al meccanismo di garanzia e preventiva escussione stabilito dall’art. 63, comma 2, disp. att. cod. civ., è nulla per estraneità alle attribuzioni della assemblea, giacché modifica i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge.
A seguito della citata riforma, infatti, non sussiste normativamente in capo ai condomini, in regola coi versamenti delle quote, alcun vincolo di solidarietà passiva in senso proprio nei confronti del terzo creditore, e non può, perciò, prefigurarsi alcuna urgenza derivante dalla possibile esecuzione individuale, la quale è subordinata all’infruttuosa esecuzione nei confronti dei condomini inadempienti.
Se i contributi versati in base alle quote ripartite nel preventivo si sono rivelati insufficienti in rapporto alle spese occorrenti durante l’esercizio, per le maggiori esigenze della gestione si deve provvedere in sede di consuntivo, contemporaneamente procedendosi alla riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati ed eventualmente comunicando al creditore insoddisfatto i dati dei medesimi condomini morosi. Non può invece obbligarsi il condomino in regola coi pagamenti a versare nuovamente al condominio l’importo dei contributi rimasti insoluti dai morosi e sollecitati dal terzo creditore.