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Le auto ibride ed elettriche sono sempre più diffuse. Ma come possono “convivere” con il condominio? Secondo dati Ispra-Aci, sul totale del parco auto italiano (quasi 40 milioni di vetture), quelle ecologiche sono ancora poche, meno del 4%.
Eppure chi cambia macchina, ormai, spesso ricade in una delle due scelte. Già nel 2021, un terzo delle nuove immatricolazioni era composto da ibride, mentre quelle full electric raggiungevano il 4,6%, con punte del 10% nella provincia di Trento.
Quando manca la colonnina condominiale
La convivenza di questa macchine con il condominio, però, non è semplice. Negli stabili residenziali di nuova costruzione, almeno dal 2020, dovrebbe essere obbligatoria la predisposizione di almeno una colonnina di ricarica condivisa (con più di dieci unità abitative).
Un vincolo che viene rispettato, a patto che i regolamenti edilizi comunali siano aggiornati. Ma negli stabili già esistenti c’è una questione sempre più diffusa: come faccio a essere in regola, ricaricando la mia auto nel box condominiale?
Nella maggior parte dei palazzi, infatti, i garage singoli sono dotati di energia elettrica, che viene usata per pochi momenti quando si accende la luce o quando si collega un piccolo elettrodomestico, come un trapano.
Quasi sempre l’elettricità dei box dipende da un unico contatore condominiale e le spese relative vengono suddivise in base ai millesimi, e non effettivamente in base a quanto ciascuno box auto abbia consumato.
Ma si tratta di costi irrisori. Il problema cambia notevolmente se uno o più abitanti iniziano a ricaricare, magari tutte le notti, la propria vettura.
Tre ipotesi in campo
Partiamo da un principio. Ciascuno condomino ha il diritto di dotare il proprio garage di un impianto idoneo, senza che un’eventuale assemblea di condominio lo blocchi in partenza. Ma la casistica è varia e purtroppo è rara l’eventualità in cui si posso scavalcare del tutto l’assemblea condominiale.
Questa condizione si verifica quando l’elettricità del garage è fornita direttamente dal contatore relativo all’abitazione. In questo caso, in linea di principio, non serve alcuna autorizzazione.
Al limite, occorrerà valutare i consumi a livello di spesa, perché l’auto diventa come il forno o la lavastoviglie, ossia un grande elettrodomestico collegato alla rete. Potrebbe essere opportuno chiedere al proprio fornitore di energia di aumentare la potenza disponibile, passando dai canonici 3 Kw a 4,5 Kw o 6 Kw.
Una procedura che si può svolgere da remoto. Questo dipende anche dal tipo di connettore che si intende utilizzare, oltre che dall’alternativa tra ricarica veloce o normale.
Come detto, però, spesso i garage sono alimentati da un contatore condominiale.
Quindi, per rendersi autonomi, una seconda strada da valutare con un tecnico abilitato è verificare se sia possibile “staccarsi” e collegare l’elettricità del box direttamente al contatore dell’abitazione.
Potrebbe essere necessario il passaggio di fili e canaline dal pannello generale dei contatori, che spesso si trova al piano terra, verso il piano interrato del box.
Il proprietario dovrà predisporre, a proprie spese, un progetto tecnico di fattibilità, che comprenda i dettagli delle opere, una dichiarazione di conformità, e occorre fare una verifica a livello di Cpi (Certificato prevenzione incendi rilasciato dai vigili del fuoco).
È importante infatti che i nuovi dispositivi siano a norma e collegati al comando di “stacco”, ossia quello che permette ai vigili del fuoco, in caso di emergenza, di togliere completamente l’elettricità in tutto lo stabile, in un colpo solo.
Dopodiché, il progetto andrà sottoposto all’amministratore, che dovrà valutare che tutto sia a norma e poi convocare un’assemblea per far approvare le modifiche, cui basterà una maggioranza semplice per essere approvate.
Se risultasse impossibile o troppo costoso “derivare” la ricarica dal contatore legato all’abitazione, si potrebbe far installare un secondo contatore, al servizio del garage.
In questo caso, l’installazione deve essere fatta per forza dal fornitore di energia. E anche in questo caso si vanno a coinvolgere parti comuni, poiché il contatore, in modo da risultare accessibile, dovrà essere posizionato nel vano contatori condominiale che già accoglie gli altri. Quindi l’iter è simile a quello descritto sopra.
Leggi anche: QUANTO COSTA RICARICARE UN’AUTO ELETTRICA?
Quando è necessaria la contabilizzazione dei consumi
In alternativa, è possibile che l’assemblea autorizzi la ricarica del veicolo, pur lasciando che il box sia ancora servito dal contatore condominiale.
Una situazione che si verifica soprattutto se altri condomini sono interessati alla medesima possibilità. In questo caso, è opportuno che un tecnico valuti se la potenza del contatore sia adeguata allo scopo. Senz’altro, a carico dei condomini interessati, andranno installati dei contatori che permettano di suddividere le spese dei singoli box in base all’effettivo consumo e non più ai millesimi.
E magari installare un impianto “dinamico”, ossia inserire un dispositivo che moduli l’energia distribuita fra le varie funzioni (box, luce scale, ascensori…), in modo che non “salti” mai la corrente.
Queste sono le soluzioni in sintesi, ma le variabili sono diverse. Alla base delle decisioni c’è anche il tipo di impianto usato per la ricarica. Le auto elettriche solitamente si ricaricano in due modi:
- da un lato, è possibile usare una normale presa Schuko (comunemente chiamata “la tedesca”) collegata all’auto dal cavo in dotazione;
- oppure, si può optare per un “wallbox”. Sono dispositivi a parete creati apposta per le ricariche in ambito domestico, venduti in diversi range di potenza (di solito da 3,5 fino a 22 Kw), che garantiscono maggior resistenza e più velocità rispetto alla presa normale. Sono offerti sia dalle case automobilistiche, sia da quelle di fornitura (Enel, A2a, Sorgenia ecc…). Possono costare da 600 fino anche a 1.700 euro. Va ricordato, infine, che tutte le considerazione dell’articolo valgono sia per la ricarica di auto al 100% elettriche sia per le ibride plug-in.
di Adriano Lovera