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Siamo in Campania, per la precisione a Napoli, in zona nord-orientale.San Pietro a Patierno è il quartiere del capoluogo campano che confina a ovest con i quartieri di Secondigliano e San Carlo all’Arena, a sud col quartiere Poggioreale, a est e a nord col comune di Casoria e a nord-ovest col comune di Casavatore.
Si tratta di una delle zone più grandi della città, ma non così densamente popolata come altre, a causa della presenza dell’Aeroporto di Capodichino, dell’aeroporto militare Ugo Niutta e della NATO.
Le origini
Parliamo di un quartiere che divenne in realtà comune autonomo dopo l’unità d’Italia e fino al 1926. Nacque in epoca angioina come casale demaniale, con il nome di San Petrus ad Paternum, in italiano San Pietro a Paternio. Dopo il 1926 avvenne la fusione con il comune di Napoli, dove oggi è parte del Municipio numero 7.
A quel tempo il sostentamento del Comune si basava principalmente su tasse e imposte sui prodotti della terra. Si trattava in larga misura di grano, vino e bestiame.
Negli anni tra 1925 e il 1927 si decise per la definitiva inclusione nella città di Napoli, insieme ad altri quartieri come Secondigliano, Chiaiano, Soccavo, Pianura, Nisida, Ponticelli, Barra e San Giovanni a Teduccio, all’interno del più grande comune di Napoli.
L’aeroporto
In questo territorio ha avuto particolare importanza la presenza dell’aeroporto: il vecchio Campo di Marte, chiamato poi Piazza d’Armi, venne utilizzato per i primi esperimenti di volo.
Il terreno pianeggiante di 44 ettari, a forma di rombo e posto a 72 metri sul livello del mare era perfetto per la prima attività degli aerei. La prima esibizione avvenne il 5 maggio 1910, che ebbe come protagonisti tre aviatori stranieri e un italiano.
Da quel momento altre manifestazioni aeree sportive continuarono fino al 1913. Tutto questo venne interrotto dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, momento in cui iniziarono gli esperimenti militari. Un momento di svolta arrivò dopo il bombardamento avvenuto nella notte tra il 10 e l’11 marzo 1918: un dirigibile austriaco porto alla morte di 16 persone, e da quel momento ci iniziarono a prendere provvedimenti di potenziamento dell’aeroporto e dell’area.
Questo si tradusse con la presenza di due hangar, di cui uno in grado di ospitare un dirigibile di piccole dimensioni, proprio accanto all’ingresso in via Nuovo Tempio. Nel 1921 l’aeroporto cambiò nome e venne intitolato al capitano Ugo Niutta, morto nel 1916.
Successivamente venne ampliata la pista, quando la regia aeronautica prese possesso dell’area. Nel 1925 vennero espropriati alcuni terreni e si procedette ad aprire un nuovo ingresso in piazza Capodichino. Un’ulteriore ampliamento si ebbe dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1948 gli alleati fecero portarono la pista alla lunghezza di 2100 m.
Due anni dopo si aggiunsero anche linee commerciali e civili, a seguito di un’ulteriore allungamento della pista. Da quel momento ci fu un grande ampliamento dell’aeroporto, che vide anche la privatizzazione e un piano d’investimenti notevole.
Nacque quindi il Terminal 2, che però venne smantellato e demolito a settembre del 2015. Al suo posto oggi c’è la stazione Capodichino Aeroporto della Linea 1 della metropolitana.
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Volto del quartiere
Ci fu un evento che più di tutti scosse il quartiere napoletano, ovvero il bombardamento da parte degli alleati del 4 aprile 1943, che causò la morte di decine di persone e molti danni. Per questo motivo oggi al 4 aprile sono dedicati un viale e un largo.
Tra i luoghi di interesse architettonico e culturale della zona ci sono il Santuario eucaristico di San Pietro Apostolo, la Chiesa di San Pietro a Patierno, quella di San Tommaso D’Aquino e la Cappella Rurale dell’Addolorata.
Curiosità
Grande tradizione ha avuto in questa zona la produzione di scarpe artigianali: tra le vie del quartiere erano tanti i calzolai che rimettevano in sesto scarpe usate, vendute poi nei mercati cittadini e della provincia.
Gli artigiani partivano dallo smembrare vecchie scarpe per ottenerne tomaia e suola, successivamente posizionate su di una forma in ferro detta piastra e attaccata a una suoletta chiamata “chiantella”.
Successivamente venivano strofinate con carta vetrata e poi passando colla di farina per sistemare il pelo della tomaia. Veniva poi inserita la suola, precedentemente lavorata. Il tacco veniva creato con pezzi di suole di scarto, dopo avveniva la limatura e l’abbellimento della scarpa attraverso l’aggiunta di colore.
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*I dati riportati nell’articolo fanno riferimento al mese di dicembre 2022 e sono stati elaborati dagli esperti di Immobiliare.it.