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Secondo il TAR del Piemonte, con la sentenza n. 583/2022, il passaggio da abitazione rurale ad abitazione civile abitazione non costituisce mutamento di destinazione d’uso rilevante se l’immobile è preesistente alla legge n. 10/1977.
Per salvaguardare il territorio, limitare gli sprechi e l’urbanizzazione incontrollata, recuperare e rifunzionalizzare vecchi immobili è un’alternativa green e sostenibile. Bisogna però fare attenzione perché questa operazione potrebbe avere un costo importante in oneri di urbanizzazione.
Cambio di destinazione d’uso da rurale a civile abitazione: cosa dice la legge?
Il caso su cui si è pronunciato il TAR del Piemonte riguardava i proprietari di una vecchia casa rurale che hanno presentato una SCIA al Comune per lavori di manutenzione straordinaria con beneficio del Superbonus 110%.
Il Comune, però, ha inibito la SCIA con conseguente stop ai lavori, per il mancato versamento degli oneri di urbanizzazione dovuti al cambio rilevante di destinazione d’uso dell’immobile, da rurale a civile abitazione.
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I proprietari hanno però fatto ricorso al TAR in quanto sostenevano che il contributo richiesto dal Comune non era dovuto perché si trattava di un immobile preesistente l’entrata in vigore della legge “Bucalossi” n. 10/1977 (Norme per la edificabilità dei suoli).
Infatti, secondo tale normativa, il semplice passaggio di destinazione da residenza rurale a residenza civile non costituisce mutamento di destinazione d’uso rilevante.
La sentenza del TAR del Piemonte per immobili rurali trasformati in immobili civili
I giudici hanno quindi sottolineano, come lo stesso Tar Piemonte aveva già avuto modo di pronunciarsi, che il contributo di costruzione non è dovuto per gli immobili rurali i cui titoli abilitativi preesistevano all’entrata in vigore della legge n. 10/1977.
Infatti “mentre per le residenze rurali realizzate a far data dall’entrata in vigore della L. 10/1977 il passaggio dall’utilizzo “rurale” (da parte dell’imprenditore agricolo a servizio della conduzione dell’azienda agricola) all’utilizzo “civile” (da parte di soggetti privi della qualifica di imprenditore agricolo e per esigenze abitative svincolate dalla conduzione del fondo) configura una modifica della destinazione d’uso giuridicamente rilevante, visto che determina la decadenza dal beneficio dell’esenzione dal contributo di concessione di cui aveva beneficiato il titolo originario.
Per le residenze rurali edificate prima dell’entrata in vigore della L. 10/1977 il passaggio dall’uno all’altro utilizzo non configura alcuna modifica della destinazione d’uso giuridicamente rilevante, dal momento che in tal caso il titolo abilitativo autorizzava entrambi gli utilizzi, e ad entrambi concedeva il beneficio della gratuità previsto, in modo generalizzato, per il rilascio di qualsivoglia titolo edilizio”.
In conclusione, per i fabbricati antecedenti il 1977 non sussiste alcuna limitazione riguardo alle categorie di soggetti cui poteva essere rilasciato il titolo edilizio né era prevista l’assunzione di un atto di impegno al mantenimento della destinazione dell’immobile a servizio dell’attività agricola.
Quindi questi immobili, anche se rurali, possono tuttora essere liberamente adibiti ad abitazione anche da parte di chi non riveste la qualifica di imprenditore agricolo, senza che da ciò derivino conseguenze.
In più, stando alla normativa applicabile a questi immobili, non può configurarsi un mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante anche laddove l’immobile sia abitato da un soggetto che nulla ha a che fare con l’attività agricola.