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Dalla mese scorso, quando i committenti hanno iniziato a inviare le certificazioni dei redditi (CU), siamo entrati in piena fase di raccolta dei documenti, per adempiere alla dichiarazione dei redditi 2022. Tra le scadenze più importanti, entro il 30 giugno occorre versare il saldo relativo al 2021 e la prima rata dell’anno in corso. Ma che cosa comporta la dichiarazione, dal punto di vista degli immobili? La “prima casa”, infatti, è esentasse (tranne le abitazioni di lusso). Ciò non toglie, però, che i fabbricati vadano dichiarati. E non solo. Vediamo le regole principali.
Anche la prima casa va segnalata
Gli immobili vanno dichiarati nel quadro RB (Redditi dei fabbricati) dove vanno segnalati al Fisco la rendita catastale non rivalutata di ogni immobile posseduto, il tipo di utilizzo (per esempio, il codice 1 è per l’abitazione principale, il 5 per le pertinenze, tipo un garage) e alcuni altri dati. Sono tenuti alla dichiarazione i proprietari di fabbricati (o anche solo quote di essi, come un coniuge proprietario al 50% di una casa) e anche i titolari di diritti come l’usufrutto, mentre non dichiara nulla chi ha acquistato una casa come “nuda proprietà”, ma ancora non sta godendo di alcun diritto sul cespite.
La sezione si compila per ogni immobile, compresa la prima casa, quelle successive, e per le pertinenze. L’abitazione principale è quella in cui si dimora abitualmente e in cui occorre aver posto la residenza. Su questa casa non si paga l’IMU e il Fisco, in sede Irpef, concede una deduzione dal reddito complessivo pari al reddito prodotto dall’abitazione e dalla sue pertinenze.
Attenzione a un particolare: la deduzione spetta a una sola unità immobiliare. Se si hanno due case, anche se una di queste è utilizzata da un familiare, la deduzione non scatta. Lo stesso trattamento dell’abitazione principale (deduzione ed esenzione IMU) viene riservato alle pertinenze (cantine e box). Quando però se ne possiedono più di una, per esempio se una famiglia ha due garage, uno di questi viene considerato come una seconda casa, dunque soggetto a tassazione.
Le case in affitto
Quando si è proprietari di una casa data in affitto, l’immobile va ovviamente dichiarato come fabbricato (paragrafo sopra) e il ricavo derivante dagli affitti va anch’esso segnalato al Fisco come reddito da fabbricati.
Da qualche anno, ormai, i proprietari hanno la possibilità di scegliere tra due regimi fiscali: assoggettare i redditi da locazione alla propria aliquota Irpef, oppure utilizzare l’opzione della “cedolare secca”, ossia un’aliquota fissa che sostituisce Irpef, addizionale regionale e comunale, imposta di bollo e registro sul contratto. Questa aliquota è in generale al 21%, tranne che per alcuni casi, come ad esempio gli affitti a “canone concordato”, che invece pagano un’aliquota agevolata al 10%.
Qualsiasi sia la scelta, l’immobile va comunque dichiarato nel quadro Fabbricati del modello di dichiarazione. Anche in caso di “cedolare secca”, l’ammontare del reddito farà ugualmente parte del computo complessivo del reddito familiare, utilizzato per calcolare le detrazioni o per definire parametri come l’Isee. Ma verrà escluso dal pagamento dell’Irpef. In linea generale, la cedolare secca risulta conveniente e permette un risparmio fiscale, anche se pone qualche limite. Per esempio, questo regime non dà diritto all’adeguamento del canone d’affitto rivalutato secondo l’indice Istat. Nonostante questo, è di gran lunga il regime più utilizzato dai contribuenti proprietari di immobili in affitto.
Gli affitti brevi
Una menzione a parte merita il capitolo dei redditi da locazione turistica, ossia gli “affitti brevi”. Naturalmente, anche questi vanno dichiarati al Fisco e anche in questo caso si può scegliere tra regime Irpef o cedolare secca al 21%. Per essere considerate locazioni turistiche, i vari contratti che si stipulano durante l’anno con gli affittuari devono avere una durata inferiore ai 30 giorni. Inoltre, per assoggettare questi redditi alla normale dichiarazione come persona fisica, il proprietario può avere un massimo di 4 case adibite ad affitto breve. Se supera questa soglia, viene considerata “attività d’impresa” dunque il quel caso la dichiarazione deve essere fatta come se si trattasse di una società.
Tornando al prelievo fiscale, se il proprietario opera completamente in autonomia, deve seguire la strada descritta fin qui. Altrimenti, se si appoggia un intermediario (agenzia, property manager, portale) una legge del 2017 obbliga tale intermediario a operare una ritenuta alla fonte del 21% su ogni canone d’affitto, che funziona da anticipo Irpef per chi adotta questo regime, o che assolve al 100% l’obbligo fiscale per chi opta per la cedolare secca. A fine anno, l’intermediario deve anche fornire al proprietario una certificazione dei redditi e delle ritenute operate.
Purtroppo, però, ci sono alcune falle in questo schema. La più importante arriva da Airbnb, il portale più utilizzato per gli affitti brevi, che ha impugnato a livello giudiziario l’obbligo di fungere da sostituto d’imposta (si legge qui) e dunque, almeno per tutti i canoni veicolati da questo intermediario, il proprietario è obbligato a procedere da solo alla rendicontazione. Anche l’aspetto fiscale è uno dei criteri che un eventuale investitore immobiliare deve considerare, per decidere a quale intermediario affidarsi.