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Nella riunione del board della Bce, previsto per il prossimo giovedì 27 luglio, dovrebbe essere disposto un nuovo rialzo dello 0,25% del tasso di interesse di riferimento europeo, che così passerebbe dal 4% attuale al 4,25%.
Anche USA e Gran Bretagna alzano i tassi
Anche negli Stati Uniti questa settimana si riunirà la Fed, che dovrà decidere se mantenere l’attuale livello dei tassi (5/5,25%) o se ritoccarli all’insù di un ulteriore quarto di punto.
Mentre la Banca d’Inghilterra, dove i tassi sono attualmente al 5%, con ogni probabilità li porterà al 5,50% tra le due riunioni previste per agosto e settembre.
Anche se il trend sembra ricalcare uno schema ormai consolidato, con le banche centrali che alzano il costo del denaro nel tentativo di arginare l’inflazione, queste “mosse” estive dovrebbero rappresentare ormai il picco di una fase che, com’è noto, ha avuto un effetto dirompente sulle rate dei mutui a tasso variabile.
Contenere l’inflazione in Europa
In Europa, a fine luglio del 2022, il saggio era soltanto allo 0,50%. Quindi la crescita è stata davvero repentina. Fino a questo momento, la Bce è andata avanti senza ripensamenti, fedele a uno dei suoi obiettivi principali, ossia quello di contenere l’inflazione continentale a un tasso considerato naturale, del 2%. La fiammata delle materie prime ha fatto lievitare i prezzi molto più di questo valore. Ma la curva si sta invertendo.
Eurostat: inflazione in Italia al 6,7%
L’ultima rilevazione di Eurostat, relativa a giugno, registra un’inflazione annua pari al 6,4% in tutta l’Ue, del 5,5% per la zona euro. Per l’Italia, l’asticella si ferma al 6,7%.
E quel che è interessante, nel nostro Paese, è il fatto che per la prima volta da molto tempo la variazione mese su mese (ossia da maggio a giugno) è stata nulla. Anche negli Stati Uniti i prezzi stanno tornando a un livello normale, con l’inflazione (Cpi) a +3% annuo a giugno. Nello stesso mese del 2022 era addirittura il triplo.
Le previsioni per luglio e il post-estate
Secondo molti analisti, insomma, il rialzo di fine luglio della Bce ci sarà. Anche perché la presidente Christine Lagarde, nelle scorse settimane, lo aveva sostanzialmente già anticipato.
Giovedì, invece, ci si aspetta una conferenza stampa condita da dichiarazioni molto meno nette, rispetto al futuro. Quindi, già dal prossimo appuntamento di settembre i tassi Bce potrebbero rimanere fermi. Francoforte, infatti, deve tenere un occhio sul rialzo dei prezzi, ma non può neppure deprimere eccessivamente i consumi, così da contribuire a smorzare la crescita.
Rischio recessione scongiurato (per pochissimo)
Lo scorso 20 luglio, Eurostat ha fissato il dato relativo al Pil del primo trimestre dell’anno. Il dato dell’Eurozona è sostanzialmente piatto, ossia 0%, mentre le anticipazioni di giugno erano per un calo dello -0,1%.
Questo decimale di differenza permette di evitare la definizione di “recessione tecnica”, che si ha con il segno negativo per due trimestri consecutivi. Ma è evidente che la correzione sia poca cosa, per poter brindare alla ripresa. E dunque questo equilibrio precario suggerirà alla Bce una buona dose di prudenza sui futuri rialzi. I tassi dovrebbero rimanere fermi. E magari, dal 2024, tornare a retrocedere. E così, forse, vedremo le rate dei mutui variabili ricominciare a sgonfiarsi.
Famiglie in difficoltà, i dati FABI
Le ultime elaborazioni della Fabi (il principale sindacato delle banche) su dati Bankitalia, indicano la bellezza di 960mila nuclei famigliari in difficoltà con il pagamento delle rate del mutuo.
Di questi, 170mila hanno in corso un tasso fisso, tutti gli altri il variabile. In soccorso delle famiglie (almeno in teoria) dovrebbero arrivare alcune iniziative disposte dalle banche, su invito dell’Abi. Ma sono misure che ancora devono trovare un effetto concreto sul mercato e non è ancora chiaro in quali condizioni possano davvero “abbassare” la rata, o semplicemente cristallizzare il livello attuale, e mettere almeno a riparo da rialzi futuri.
Le misure, inoltre, come sottolinea la stessa Fabi, scontano un grave difetto: per accedervi, le famiglie devono essere fin qui pienamente in regola con i pagamenti. Chi ha “sgarrato” in precedenza, ritardando qualche mensilità, viene tagliato fuori. Ma solo da noi il rialzo del costo del denaro ha provocato questo scossone?
Confronto Italia vs. USA
È interessante una digressione, circa le differenze tra il nostro mercato e quello statunitense. Negli Usa, i continui rialzi della Fed non hanno provocato particolari allarmi, poiché questo tipo di mutuo, definito ARM (adjustable rate mortgage) rappresenta una percentuale molto piccola, meno del 10%, rispetto allo stock dei mutui in circolazione.
A metà anni ‘90 copriva più della metà dei finanziamenti, ma poi, sotto i colpi delle crisi finanziarie, tra il 2009 e il 2010 ha raggiunto livelli minimi. E da quel momento in poi, a seconda dei periodo, ha sempre oscillato tra l’8% e il 18% dei nuovi finanziamenti. E in ogni caso, poche volte si tratta di variabili “puri”, ma di mutui del tipo 5/1, 7/1 o 10/1, ossia variabili ma con un periodo iniziale “fisso” (appunto di 5, 7 o 10 anni).
In Italia, invece, “alla fine del 2019 la quota di mutui a tasso fisso superava il 46 per cento delle consistenze” si legge nel Rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca d’Italia (1/2020).
Questo significa, letto al contrario, che anche negli anni recenti di tassi prossimi allo zero, quando finanziarsi con un fisso costava pochissimo, c’era ancora una quota ingente di mutui a tasso variabile. Una formula, come si sa, che in effetti concede rate di partenza ancora più leggere. Ma che, come si è visto e come era prevedibile, quando ha iniziato a “muoversi” lo ha fatto nell’unica direzione possibile, ossia quella del rialzo.