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Non è raro che il costruttore di un fabbricato imponga ai condòmini, magari avvalendosi del regolamento condominiale predisposto contestualmente e consegnato ai singoli alla stipula dell’atto d’acquisto degli appartamenti, alcune clausole sulla cui legittimità la giurisprudenza, tutt’ora, si interroga.
Esamineremo di seguito le 2 ipotesi che, più di frequente, vedono i condòmini contrapposti all’impresa costruttrice ed impegnati in estenuanti contenziosi che aggravano ulteriormente il, già di per sé insostenibile, carico di lavoro dei Tribunali.
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L’imposizione del primo amministratore da parte del Costruttore
Il primo caso che esaminiamo si verifica quando il costruttore di uno stabile, nel vendere la prima delle unità immobiliari che lo costituiscono, inserisce nel regolamento condominiale (che pure egli stesso ha redatto) una clausola con la quale si riserva la nomina del primo amministratore.
Con una clausola di questo tenore, di fatto, si limita enormemente l’autonomia di scelta dell’acquirente, il quale, se vuole effettivamente comprare quel determinato appartamento, non ha altra alternativa: deve necessariamente accettare il nominativo designato dall’impresa e, dunque, ad essa gradito.
Questa disposizione, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. Civ. 13011/2013) è nulla per contrarietà a norma imperative.
Più in particolare, l’art. 1138 del codice civile dichiara espressamente non derogabile, da parte del regolamento condominiale, la disposizione contenuta nell’art. 1129 del codice, la quale riserva alla sola assemblea la nomina dell’amministratore e stabilisce la durata del suo incarico.
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L’esonero del costruttore dal pagamento delle spese condominiali
Altrettanto frequente, poi, è l’ipotesi in cui il costruttore, nel formare il regolamento condominiale, inserisce al suo interno una clausola di salvaguardia con la quale si prevede che, egli stesso, sia esonerato totalmente dal contribuire ad ogni spesa, per le quote relative ad unità immobiliari invendute e per tutto il tempo in cui esse resteranno tali, o, comunque, vuote ed inutilizzate.
Cosa vuol dire per il condominio?
Secondo un recente orientamento della giurisprudenza di merito (Trib. Roma 2786/2021), una simile norma contenuta nel regolamento condominiale deve ritenersi nulla in quanto vessatoria, laddove l’esenzione sia prevista a tempo indeterminato.
In particolare, afferma il Tribunale capitolino, imporre un sacrificio economico a tutti gli altri componenti della collettività condominiale a vantaggio esclusivo della società costruttrice, non potrebbe essere giustificato in alcun modo dalla condizione soggettiva del venditore.
Il fatto che il soggetto privilegiato sia stato il proprietario originario dell’intero fabbricato è del tutto irrilevante ai fini della partecipazione alle spese.
Consentire l’impiego di un simile criterio di imputazione e ripartizione delle quote, significherebbe legittimare un’ingiusta discriminazione economica, determinando, contestualmente, l’impoverimento dei condòmini non esonerati e l’arricchimento (indebito) del costruttore.
*Questo contenuto ha scopo informativo e non ha valore prescrittivo. Per un’analisi strutturata su ciascun caso personale si raccomanda la consulenza di professionisti abilitati.