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I prezzi delle case, nei centri città, sono sempre più proibitivi. Ma anche per chi punta all’affitto le cose vanno male. Si trovano pochi appartamenti concessi in locazione e quelli che ci sono presentano canoni insostenibili. E ora, come accade ciclicamente, sotto i riflettori finiscono gli affitti brevi.
Canoni d’affitto in crescita costante
Secondo le statistiche, se si eccettua una flessione durante il periodo Covid, i canoni d’affitto residenziali nelle grandi città sono in salita costante da inizio 2015 e, da quel periodo, sono cresciuti in media del 13%.
Ma questa è solo una media aritmetica, perché in tanti centri come Milano, Venezia o Bologna, che vivono di una forte richiesta anche da parte di studenti e lavoratori non residenti, il rialzo è molto più marcato, anche di dieci punti in più.
Al di là del costo, poi, il problema è la disponibilità. Perché pochi proprietari sembrano disposti ormai a locare i propri appartamenti, specialmente con i consueti contratti di lunga durata (il 4+4) o quanto meno con i rapporti di un anno, magari a canone concordato.
Un’indicazione dell’Istat non recente, ma indicativa, spiega che in Italia ci sono tra 6 e 7 milioni di appartamenti “vuoti”, ossia non stabilmente utilizzati, pari ad almeno il 20% di tutto lo stock abitativo.
Il numero ovviamente andrebbe “depurato”, perché comprende le tante case al mare o in montagna, che per loro natura vengono abitate dai proprietari qualche settimana all’anno.
Ma resta un volume importante. Storicamente, tante famiglie sono restie a mettere in affitto le case e preferiscono piuttosto tenerle vuote, spaventati dai tempi della giustizia italiani.
In caso di morosità, quando l’inquilino smette di onorare l’affitto, i tempi per far valere i propri diritti ed eventualmente arrivare anche allo sgombero sono sempre molto lunghi, specialmente quando nel nucleo è presente un minore. Oggi, però, l’attenzione si sposta più sul versante economico.
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Affitti brevi: dopo Venezia si muove Bologna
Tanti proprietari, infatti, hanno capito che possono guadagnare molto di più sfruttando gli appartamenti con il sistema degli affitti brevi.
Si massimizza il profitto ospitando per pochi giorni turisti leisure o business, togliendo quindi l’appartamento da quelli che sarebbero a disposizione di famiglie o studenti.
Una situazione stigmatizzata di recente dal sindaco di Bologna, Matteo Lepore, che ha annunciato a breve la presentazione di una norma eventualmente da utilizzare a livello nazionale, e non solo locale, per mettere un tetto agli affitti brevi.
Altrimenti, questo è il rischio, i centri città finiranno sempre più per spopolarsi, lasciando spazio solo a presenze mordi e fuggi.
L’idea dovrebbe essere esplicitata il prossimo 5 aprile, quando il Comune emiliano presenterà il proprio Piano abitativo. Bologna non è certo l’unica municipalità a porsi il problema. A Venezia ci hanno già pensato e da qualche anno esiste un tetto che prevede un massimo di 120 giorni l’anno in cui è possibile locare una casa con l’affitto turistico.
Una norma che, in realtà, non ha frenato lo svuotamento della laguna.
Il problema è molto sentito anche a Milano, dove si calcola siano almeno 15mila le case affittate sui vari portali, a partire da AirBnb.
Sia il sindaco Beppe Sala sia l’assessore Pierfrancesco Maran si sono mostrati interessati a ragionare su strumenti che pongano un freno al fenomeno. “Non vogliamo andare contro i piccoli proprietari di case. Ma vorremmo, anche, una città viva per 365 giorni l’anno, non solo durante il salone del Mobile o la settimana della moda” è in sintesi il ragionamento del primo cittadino milanese. E in mancanza di interventi a livello nazionale, anche Palazzo Marino potrebbe inventarsi un limite massimo di giorni.
Perché gli affitti lunghi sono poco attrattivi?
Il problema è però destinato a restare. In effetti, per un proprietario che facilmente riesca a intascare 100/200 euro a notte da un appartamento, è una comodità locarlo per brevi periodi, ma di fatto avendolo sempre a disposizione in caso di bisogno.
Molto meglio che concederlo in affitto a “canone concordato”, ossia quel particolare regime agevolato dove i canoni sono più bassi rispetto a quelli di mercato e che si può applicare in alcune casistiche, ad esempio il contratto 3+2, quello da 6 a 36 mesi per gli studenti universitari o i contratti transitori da 1 a 18 mesi, ad esempio per esigenze di lavoro.
Il proprietario che sceglie questo regime può godere di numerose agevolazioni fiscali, che vanno dalla riduzione della base imponibile Irpef legata all’appartamento, fino alla riduzione della cedolare secca, che in questi casi si paga solo al 10% contro l’aliquota normale del 21%.
Nonostante questo, gli affitti brevi presentano maggior possibilità di guadagno e più flessibilità nella gestione.
Gli operatori temono l’autogol
Inoltre, la guerra agli affitti brevi non piace naturalmente ai proprietari e alle società che li gestiscono in qualità di property manager.
Se possiamo far rendere gli alloggi e attirare turisti tutto l’anno, che male c’è? Francesco Zorgno, presidente di Rescasa-Lombardia (sigla aderente a Confcommercio che rappresenta la ricettività turistica in appartamento) ha risposto alle critiche chiedendo di essere invitato dalle istituzioni locali per un confronto.
E mettendo in luce alcuni aspetti, come il fatto che oggi le case dedite agli affitti brevi siano appena il 5%, a livello nazionale, rispetto a tutte le seconde case.
Non risiederebbe qui il problema, dunque, legato al caro affitti. In più, ponendo dei paletti allo short-rent, non è per nulla automatico il “ritorno” dei proprietari verso le formule più tradizionali, ma ci sarebbe il rischio di alimentare il “sommerso”.
Il dibattito è destinato a lungo a proseguire.
di Adriano Lovera