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La vendita con riserva di proprietà è disciplinata dagli articoli 1523-1526 del codice civile.
L’art. 1523 del codice civile definisce il contratto di vendita a rate con riserva di proprietà (applicabile anche ai beni immobili), come il contratto con il quale “il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna“.
In questo caso, i rischi a cui fa riferimento la norma sono quelli connessi al perimento del bene.
La giurisprudenza è concorde nel qualificare il contratto in esame come una compravendita vera e propria, sottoposta alla condizione sospensiva data dal pagamento dell’ultima rata del prezzo.
Chi ha acquistato con vendita con “patto di riservato dominio” diviene titolare del diritto sebbene sottoposto a condizione sospensiva. L’atto di vendita è, dunque, trascrivibile, con l’annotazione della riserva, al fine di evitare ulteriori atti di vendita del proprietario.
La tesi minoritaria
L’impostazione attualmente minoritaria (ma comunque sostenuta in giurisprudenza) ritiene invece che chi acquista il bene immobile mediante vendita con riserva di proprietà diviene titolare di un diritto reale sui generis, «che si sostanzierebbe nel potere di usare la cosa e di detenerla sia nell’interesse proprio che in quello del venditore».
Vendita con riserva di proprietà in condominio
In ambito condominiale, seguendo l’orientamento oggi prevalente in giurisprudenza, chi acquista un immobile in condominio con riserva di proprietà, fermo restando la condizione sospensiva, è obbligato al pagamento degli oneri condominiali.
Egli diventa anche titolare del diritto di essere convocato in assemblea condominiale, al pari degli altri proprietari.
Va considerato, peraltro, che il bene acquistato con riserva di proprietà non è soggetto a pignoramento per ragioni debitorie connesse alla posizione dell’acquirente, non essendo egli proprietario pieno dell’immobile (Trib. Napoli 28/01/2010).
Circostanza che riduce le possibilità di soddisfazione del credito del condominio in caso di morosità.
Spese condominiali
In termini più generali, la compravendita di una unità immobiliare in condominio può essere fonte di problemi per l’acquirente in ordine ad eventuali spese condominiali non pagate dal precedente proprietario.
È consigliabile verificare bene la situazione debitoria del venditore verso il condominio, in quanto il nuovo proprietario può essere chiamato a pagare anche le vecchie spese condominiali, seppur nei limiti previsti dall’articolo 63 delle disposizioni attuative del codice civile.
Tale norma, al quarto comma, dispone: “Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente”.
A proposito, va richiamato l’articolo 1130 del codice civile, che prevede l’obbligo dell’amministratore di condominio di “fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso”.
L’amministratore, dunque, è tenuto a fornire le informazioni sui versamenti delle quote condominiali pagate o non pagate per l’unità immobiliare oggetto della compravendita solo al condomino intestatario della unità o soggetto da lui designato.