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A volte, sono le controversie più banali a fare giurisprudenza, “arrampicandosi” sino all’ultimo grado di giudizio e addirittura – come nel caso in esame – per ben due volte. La lite di cui parliamo ha, infatti, origine nel lontano 2003 a fronte dell’azione dei proprietari di un cortile privato posto all’interno del più ampio piazzale condominiale.
Gli attori lamentavano, fra l’altro, l’utilizzo improprio da parte dei vicini di casa di un vano comune nel quale erano soliti posteggiare un motorino, impedendo in tal modo il regolare transito e accesso al suddetto cortile.
Con una prima decisione la Suprema Corte aveva stabilito che «Dalla documentazione in atti (…) è emerso che il vano in questione non è destinato allo stazionamento e alla sosta di veicoli, ma solo al transito; non si parla infatti nell’atto di “garage” ma di “passo carrabile comune”; l’utilizzo come parcheggio per autovetture o altri mezzi deve quindi ritenersi non conforme alla destinazione propria del vano» (Cassazione Civile, sentenza 874/2015).
Convinti delle proprie ragioni, gli occupanti il vano tornano in Cassazione lamentando la violazione dell’articolo 1102 del Codice Civile, secondo cui «Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto».
Nel vano comune vale la regola del passo carrabile?
In particolare, gli occupanti sostengono che l’utilizzo del vano comune alla stregua di un passo carrabile, e non come posteggio, da un lato non poteva essere imposto dal contratto con cui era stato venduto il cortile privato; dall’altro lato il contratto conteneva una mera descrizione del bene, e non una qualificazione valevole dal punto di vista giuridico.
In altri termini, il vano avrebbe senz’altro potuto avere una pluralità di destinazioni e usi alternativi senza per questo violare i limiti di legge, poiché il contratto di compravendita vincolava solo i contraenti, e non gli altri condomini (tra cui gli occupanti).
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La sentenza
La Cassazione, pur riconoscendo l’arguzia nelle motivazioni addotte, rigetta l’impugnazione (Cassazione Civile, sentenza 28152/2022).
La Corte ammette, infatti, che «In mancanza di accordo unanime o di deliberazione maggioritaria circa l’uso della cosa comune, come nel caso di specie, la destinazione tutelata dal divieto di alterazione ex art. 1102 c.c. può risultare anche dalla pratica costante e senza contrasti dei condomini e, cioè, dall’uso ultimo voluto e realizzato dai partecipanti alla comunione» (Cassazione Civile, sentenza 18048/2020).
Ma, al tempo stesso, osserva che «…il divieto di alterazione della destinazione rimane saldamente presidiato dalla considerazione che l’art. 1102 c.c. non delinea alcun margine minimo di tempo e di spazio affinché le alterazione della destinazione assumano rilevanza e vengano sanzionate come illegittime, cosicché può costituire abuso anche l’occupazione intermittente e per pochi minuti di una porzione del bene comune, ove comunque impedisca agli altri condomini di partecipare al godimento paritario». (Cassazione Civile, sentenza 7618/2019).
Semplificando, gli occupanti del vano non hanno sottoposto elementi di prova decisivi per far ritenere che i giudice dei precedenti gradi di giudizio abbiano falsamente applicato l’articolo 1102, posto che, ai fini dell’abuso, assume rilevanza anche un’occupazione intermittente e/o per pochi minuti degli spazi comuni.
Peraltro, conclude la Corte, «Se la tesi è che la destinazione del vano non deve essere desunta dal contratto di vendita, si riaprirebbe il problema – risolto dai giudici di merito – di individuare altri elementi. Un problema che sarebbe irresolubile, in considerazione della contrastatissima pratica a parcheggio».
Da qui la reiezione del ricorso e la conclusione definitiva della vicenda.