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Con l’arrivo della bella stagione i locali all’aperto si riempiono di persone pronte a far festa anche fino a tardi. Il problema? I residenti della zona che devono quotidianamente subire, soprattutto nelle ore notturne, gli schiamazzi e le urla o addirittura la musica a tutto volume dei numerosi bar e locali che affollano i piani terra dei vari condomini.
Certamente tale problematica è avvertita maggiormente dai residenti delle grandi città o delle località balneari anche se, grossomodo, tutte le località in estate sono interessate da questo fenomeno. Qualche giorno fa avevamo parlato di uno dei primissimi casi a Brescia ma adesso le pronunce su questo tema si spandono a macchia d’olio nei vari Tribunali dislocati sulla penisola ed iniziano anche ad arrivare sentenze della Cassazione.
Le sentenze contro la movida
Tratto distintivo delle varie pronunce di merito risulta essere la circostanza che sono quasi tutte scaturite da ricorsi di privati e che i giudici hanno ritenuto fondata la responsabilità del Comune.
Solo per citarne alcune, si veda la sentenza n. 312/2019 del Tribunale di Como, resa a seguito di una lite intentata da una coppia che aveva l’abitazione in affaccio diretto su una piazza frequentata dai clienti di esercizi commerciali di somministrazione di alimenti e bevande.
Ancora, si guardino quelle più recenti del Comune di Torino, sentenza n. 1261/2021 oppure quella della Cassazione n. 21621/2021 che aveva ritenuto legittimo il risarcimento per immissioni rumorose anche senza che fosse predisposta una CTU per valutare l’esistenza della lesione il danno biologico.
Sul solco tracciato da questi provvedimenti se ne inserisce un altro recentissimo, la sentenza n. 14209 del 25/03/2023 pronunciata dalla terza sezione civile della Cassazione.
La vicenda
Nel caso sottoposto ai giudici del “Palazzaccio” una coppia citava in giudizio il proprio comune stanca ormai dei continui e intollerabili rumori che venivano dai vari esercizi commerciali dislocati lungo la strada dove abitavano. I coniugi si lamentavano inoltre che i predetti locali spesso rimanevano aperti oltre l’orario di chiusura previsto, soprattutto nel fine settimana. Se in primo grado gli attori ottenevano la condanna del comune, la corte di appello dava invece ragione all’ente rigettando in toto le domande attoree.
La decisione della Cassazione
I coniugi decisero quindi di ricorrere in Cassazione sperando di ribaltare il provvedimento, come infatti è accaduto.
Per i giudici della suprema corte, il tribunale di seconde cure non ha fatto corretta applicazione delle tutele apprestate dalla norma ex art. 844 c.c., in tema di immissioni intollerabili.
Difatti, la tutela del privato che lamenti la lesione del diritto alla salute (costituzionalmente garantito nell’art. 32 Cost.), ma anche del diritto alla vita familiare (art. 8 CEDU) nonché della stessa proprietà, cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili, ex art. 844 c.c., provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la Pubblica Amministrazione è proprietaria), trova fondamento, anche nei confronti della P.A., nelle norme summenzionate.
La Suprema Corte ha infatti sottolineato che
La Pubblica Amministrazione può essere ritenuta responsabile sia per il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale sofferto dai privati a causa delle immissioni nocive, sia per la condanna a prendere misure per ridurre le immissioni al di sotto del livello di tollerabilità.
La Cassazione ha dunque riconosciuto la responsabilità del Comune di fronte alle richieste di risarcimento e inibitorie avanzate dalla coppia, in relazione ai danni causati dalle immissioni intollerabili provenienti dalla strada.