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Investire per l’affitto breve. I passi e le imposte

15 Ottobre 2021 Investimenti immobiliari
Seconda casa per affitti brevi

Indice dei contenuti

  • Non serve una struttura “ricettiva”
    • Affitti brevi, cosa occorre per essere in regola
    • Le imposte sulla casa e sui redditi
    • Gestione diretta o indiretta

Anche se la pandemia ha fiaccato il turismo nell’ultimo biennio, l’Italia è piena di località dalla grande attrattiva. Dalle zone di mare e montagna, ai capoluoghi come Roma, Milano, Firenze, Venezia, Napoli, il nostro Paese riceve sempre moltissime richieste, sia da parte dei visitatori stranieri sia da parte di quelli domestici.

Ecco perché molti italiani scelgono di impegnare della liquidità per l’acquisto di una seconda casa, da adibire agli “affitti brevi“. Il classico Airbnb, insomma, benché questo sia solo uno dei portali disponibili. L’attività, però, non è semplice. Perché occorre seguire regole precise, a livello burocratico e fiscale.

Non serve una struttura “ricettiva”

Il decreto legge 50/2017 ha confermato la definizione di “affitto breve”, come contratto di locazione di immobili, a uso abitativo, di durata non superiore a 30 giorni. Questa definizione porta con sé alcune conseguenze importanti, che alcune regioni (come Lombardia, Veneto) hanno ribadito in specifiche leggi locali. Viene stabilito il concetto che l’affitto breve è considerato un’attività diversa dalla “casa vacanza”, dal “B&B” o dalla ricezione turistica alberghiera. Quindi l’immobile acquistato per questo fine deve avere una normale destinazione residenziale, dal punto di vista catastale.

Inoltre non sono richiesti particolari requisiti igienico-sanitari. Questo avviene perché le strutture ricettive prevedono anche la fornitura di alimenti e bevande, anche solo per la colazione. Al contrario, nello short rent, i servizi principali riguardano il cambio di biancheria, la pulizia finale, la presenza del wi-fi, ma tutto quel che riguarda la cucina viene gestito in autonomia dall’ospite.

Affitti brevi, cosa occorre per essere in regola

Per essere in regola, ogni proprietario dovrebbe dotarsi di un codice identificativo, per ciascuna unità immobiliare adibita all’affitto, cosi da creare una banca dati nazionale che permetta di far emergere molte di queste attività dal sommerso. Questo principio è stato stabilito dal cosiddetto Decreto Crescita del 2019 (Legge 28 giugno 2019, n.58).

E in questo lasso di tempo diverse Regioni hanno emanato leggi e delibere in materia, come Lombardia, Veneto e Puglia. Ma è di recente emanazione il provvedimento del ministero del Turismo (D.M. n. 1782 del 29.09.2021) che finalmente dovrebbe estendere l’obbligo, nel concreto, su scala nazionale. Il codice, infatti, andrebbe pubblicato su ogni annuncio in Rete relativo alla locazione dell’appartamento, ma è un’indicazione ancora largamente inevasa.

Oltre a questo, ogni volta che arriva un ospite, i proprietari di casa sono tenuti a registrarne i nominativi. Questa procedura si effettua sul sito della Polizia Alloggiati Web, solo dopo aver richiesto le credenziali di accesso alla Questura del proprio territorio.

Le imposte sulla casa e sui redditi

Per quanto riguarda l’atto di compravendita dell’immobile, si pagano le normali imposte applicate alle case diverse dall’abitazione principale. In linea generale, quindi, imposta di registro al 9%, tranne i casi in cui l’acquisto dal costruttore avviene con regime IVA (al 10% o al 22% a seconda del tipo di immobile). A queste si aggiungono le imposte ipotecaria e catastale (in misura fissa da 50 o 200 euro a seconda della casistica).

L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 24 del 2017, ha chiarito invece il regime fiscale dei ricavi ottenuti dall’affitto breve, che si possono assoggettare alla “cedolare secca”. Si tratta di quel regime con cui i proventi non concorrono a formare l’imponibile Irpef e neppure sono soggetti alle “addizionali” locali, ma solo a un ritenuta alla fonte pari al 21% dell’importo, che si versa con F24 in unica soluzione, una volta l’anno o rateizzata.

La cedolare secca quasi sempre è più conveniente rispetto alla tassazione Irpef, salvo casi particolari, come un soggetti che dichiari pochi redditi a fine anno e possa “abbattere” l’aliquota standard grazie alle detrazione. Ma questo è da valutare insieme al commercialista.

Gestione diretta o indiretta

Infine, l’attività di affitto breve può essere svolta direttamente dal proprietario o appoggiandosi a un intermediario. Ce ne sono molti, diversi dei quali riuniti nell’associazione Aigab.

Dal punto di vista operativo è una soluzione molto utile, perché di solito l’intermediario può occuparsi praticamente di tutti gli aspetti dell’attività, come la pubblicazione degli annunci in rete e la corretta definizione del canone da richiedere, a seconda della città, della zona e del periodo dell’anno; l’accoglienza degli ospiti; la pulizia dell’appartamento e il cambio biancheria; la riscossione del denaro e la ritenuta delle imposte citate sopra (aliquota al 21%).

Ovviamente, il servizio si paga. In media, gli intermediari richiedano una percentuale fra il 20% e il 30% sull’ammontare di ogni canone.

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