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La natura comune o personale di un bene in condominio non può desumersi dall’uso che di tale bene ne abbia eventualmente fatto il singolo condomino in via esclusiva, bensì dall’attitudine astratta, oggettiva e originaria del bene ad essere posto al servizio della cosa comune.
È quanto è stato affermato dal Tribunale di Torino con la sentenza n. 4309 pubblicata il 31 ottobre 2023.
Ci si domanda, allora, in cosa consista l’attitudine astratta, oggettiva e originaria del bene ad essere posto al servizio della cosa comune (come previsto dall’art. 1117 c.c.) e quando questa presunzione possa essere superata.
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La vicenda
Il condominio adiva il Tribunale torinese affinché accertasse la natura condominiale dell’area fondo-scala e sotto-scala del seminterrato, asseritamente occupata abusivamente dai comproprietari di una unità, chiedendo la condanna dei medesimi alla restituzione degli spazi comuni e all’eliminazione delle opere murarie realizzare.
I condomini, infatti, secondo il condominio, si erano appropriati di una parte comune dell’edificio sulla quale avevano realizzato un bagno con servizi igienici, annesso alla loro unità.
A fronte di tale prospettazione, i convenuti contestavano la natura condominiale della porzione, affermando di non aver posto in essere alcuna opera e di aver acquistato l’immobile già nello stato di fatto descritto dal condominio, con il muro che divide la loro proprietà esclusiva dal vano scala condominiale già eretto nel 1954.
La questione giuridica sottesa
A sostegno delle proprie argomentazioni, il condominio invocava la presunzione di condominialità della porzione di vano scala e del sottoscala.
Come affermato in numerose pronunce, la presunzione di condominialità, sancita dall’ art. 1117 c.c., opera per il solo fatto che il bene sia idoneo ad un uso collettivo, con “onere del condomino che pretenda l’appartenenza esclusiva di uno di tali beni dare la prova della sua asserita proprietà, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio” (Cass. civ., Ord. n. 20145/2022).
Al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui all’art. 1117 c.c., è necessario rifarsi “all’atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto.
Pertanto, se in occasione della prima vendita la proprietà di un bene potenzialmente rientrante nell’ambito dei beni comuni risulti riservata ad uno solo dei contraenti, deve escludersi che tale bene possa farsi rientrare nel novero di quelli comuni.
Ciò posto, la presunzione di condominialità di una porzione immobiliare, rientrante nel campo di applicazione dell’art. 1117 c.c., può essere vinta, dal singolo condomino, solo in ragione di un titolo originario che esplicitamente gliene attribuisca la proprietà esclusiva oppure qualora lo stesso dimostri di averla comunque acquisita mediante usucapione” (Cass. civ. Sez. II Ord. 09/09/2019, n. 22442; cfr. anche, ex multis, Cass. n.20693/2018; Cass. n. 5831/2017).
Conseguentemente, per tutelare la proprietà di un bene comune, ex art. 1117 cod. civ. il condominio deve dimostrare che il bene abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condòmini (Cass. Ord. 5 febbraio 2019, n. 3310).
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Le conclusioni del Tribunale
Il Giudice torinese, pertanto, non ritenendo provato, in base alle prove fornire dai comproprietari condomini – planimetria allegata al rogito di acquisto e atti di provenienza – la titolarità esclusiva della porzione di stabile, condannava quest’ultimi al rilascio dell’area comune e al ripristino dei luoghi.
In conclusione, dal suddetto provvedimento si può ricavare il principio di diritto (ormai consolidato) che, in tema di condominio, una cosa non può rientrare nel novero di quelle comuni se serva, per le sue caratteristiche strutturali, soltanto all’uso e al godimento di una parte dell’immobile oggetto di un autonomo diritto di proprietà.
Ribadendo, dunque, che solo in base all’atto costitutivo del condominio può offrirsi la prova che una cosa comune sia in realtà di proprietà singola.