Indice dei contenuti
La partita sugli affitti brevi è ancora lontana da arrivare a un punto definitivo. Ma ogni settimana, ormai, si registrano movimenti, per lo più scoordinati tra loro, da parte dei Comuni, delle sigle coinvolte, mentre dal punto di vista politico appare ormai evidente come la palla sia in mano al Ministero dei Trasporti, mentre quello del Turismo resti alla finestra. Eppure ora, al di là del numero di notte “Aibnb” concesse ai proprietari, il tema della discussione potrebbe allargarsi e portare a una revisione complessiva delle norme che regolano il segmento. Il che richiederebbe mesi di lavoro, ma sarebbe senz’altro un beneficio per tutti. Vediamo perché.
La nota del Mit
Il ministro dei Trasporti e vicepremier, Matteo Salvini, nei giorni scorsi ha incontrato i rappresentanti di Aigab, la sigla che racchiude le società di property management, ossia coloro i quali gestiscono gli appartamenti per molti proprietari (accoglienza ospiti, pubblicazione annunci, riscossione, definizione prezzi, ecc). “Il ministro ha evidenziato la necessità di tutelare tutti i proprietari, trovando un equilibrio ragionevole tra le esigenze generate da simili attività a partire da regole chiare. Il Mit è pronto a offrire massima collaborazione, sia all’interno del governo che con le amministrazioni locali, per individuare le soluzioni migliori per le competenze di ciascuno. L’obiettivo di Salvini, in particolare, è affrontare nel migliore dei modi l’auspicato incremento degli arrivi nelle località italiane” è lo scarno comunicato emesso dal Ministero, il cui riferimento finale è ai flussi di turisti in arrivo nei prossimi anni, tra Olimpiadi Invernali e Giubileo.
Quanto guadagnano i proprietari?
Al di là di queste parole, però, quel che più conta risiede nei numeri che Aigab ha scritto nero su bianco in un documento di poche pagine consegnate al ministro, in cui si fotografa sinteticamente il settore. Un dato balza agli occhi. Quanto guadagnano i proprietari che hanno investito in immobili da dedicare agli affitti brevi? Proprio poco, sembrerebbe. Ogni casa genera un incasso lordo medio di 17mila euro, con forchette massime a Roma (39mila euro) e a Milano (31mila euro) e soglie minime nelle località di mare o montagna, dove ci si ferma a circa 6mila euro l’anno.
Ma questo, appunto, è solo il lordo. Perché dall’incasso vanno escluse le tasse (quasi tutti usano la cedolare secca al 21%), i costi per le utenze e le imposte (luce, gas, wi-fi, Tari, Tasi, Imu), le pulizie (circa il 10% dell’incasso), il costo dei gestori/portali (che chiedono circa il 20%). Il risultato? Secondo l’Aigab, al netto resta in mano il 35% dell’incasso, circa un terzo. E riprendendo un’elaborazione di Scenari immobiliari, si può affermare che il rendimento dagli affitti brevi, come forma di investimento, sia in generale del 4,1%, persino qualcosa in meno rispetto al 4,3% garantito dall’affitto tradizionale (4,3%).
Perché gli affitti brevi fanno comunque gola
Ma allora perché tanta smania di investire? E perché non affittare normalmente alle famiglie, con i contratti “lunghi”? Da sempre la risposta a questa domanda è nota. Con i turisti, l’incasso è subito garantito e la casa è sempre a disposizione. Quando invece si opta per il contratto 4+4, lo spauracchio per i proprietari è sempre la morosità (affitti pagati in ritardo). Per non parlare dei casi peggiori, ossia quando si arriva davvero a una procedura di sfratto. Un iter che, al di là dei tempi teorici definiti per legge dipende, nel pratico, dai tempi biblici dei tribunali italiani.
La burocrazia che uccide
In fatto di burocrazia, però, anche i proprietari degli alloggi per locazione breve non se la passano bene, anzi, non hanno avversari alla voce “complicazioni”. Per esempio, ecco in breve l’iter necessario per essere in regola a Milano. Al Comune (Suap) occorre denunciare l’avvio dell’attività, con firma digitale, Pec e documenti catastali. Dopodiché, si passa in Questura, che fornisce un account di accesso ad “Alloggiati web”, il portale cui è obbligatorio segnalare i nomi di tutti i turisti ospitati. La Regione invece fornisce l’accesso al suo portale (in Lombardia si chiama Ross 1000), da cui arriverà anche il Cir-codice identificativo regionale, da inserire in ogni annuncio on line.
Occhio, poi, che bisogna essere in regola anche con il software Soggiorniamo, quello relativo alla comunicazione e al versamento della imposta di soggiorno comunale. E tutto questo, al netto di tasse, imposte, rapporti con eventuali portali, property manager ecc. Un bel labirinto.
Certo il tema affitti brevi non è proprio tra quelli in cima alla maggioranza di Governo, alle prese con urgenze molto più stringenti, ma il mercato avrebbe solo da guadagnarci se si avviassi un iter di semplificazione delle regole, magari da estendere in modo uniforme a tutte le Regioni.
Le delibere comunali
Intanto, sul fronte dei sindaci, l’ultima a mitragliare gli affitti brevi è stata Firenze. Il Comune infatti ha approvato una delibera che vieta questo tipo di locazione nella porzione di città area Unesco, in sostanza il centro storico, circa il 5% del territorio comunale. Un atto politico spiegato diffusamente dal sindaco Dario Nardella, che mette in stretta correlazione la diffusione sempre più spinta del fenomeno, con la crescita costante dei canoni d’affitto e dunque con la difficoltà per studenti e famiglie di trovare un alloggio in locazione nella zona.
E sul tema è intervenuto persino Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, che in un’intervista a un quotidiano nazionale ha chiesto limitazioni, come stanno facendo tanti suoi colleghi. Un intervento tutt’altro che superficiale, considerando che quest’anno Bergamo e Brescia sono capitali italiane della cultura. E che, seppure Bergamo sia una città piccola, detiene il terzo aeroporto italiano per passeggeri (oltre 13 milioni nel 2022), dietro soltanto a Fiumicino e Malpensa. Dunque, un hub turistico primario, anche in vista delle prossime Olimpiadi invernali.