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Con l’arrivo dell’inverno, i sistemi di riscaldamento domestico diventano essenziali per il comfort quotidiano. Tuttavia, c’è un aspetto di cui si parla ancora troppo poco: il loro impatto ambientale. Il riscaldamento domestico, infatti, rappresenta una delle principali fonti di inquinamento atmosferico in molte città italiane, contribuendo a livelli elevati di polveri sottili e altri gas nocivi. Ma perché il riscaldamento domestico inquina e cosa possiamo fare per ridurre il suo impatto?
Tra i principali gas emessi dai sistemi di riscaldamento troviamo il monossido di carbonio (CO), gli ossidi di azoto (NOx) e i composti organici volatili non metanici (NMVOC). Tuttavia, le polveri sottili, note come PM10 e PM2.5, rappresentano le emissioni più preoccupanti. Queste particelle, di dimensioni microscopiche, possono penetrare in profondità nei polmoni e causare gravi problemi respiratori.
Secondo i dati dell’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), nel settore del riscaldamento residenziale c’è stato un aumento significativo delle emissioni di PM10 e PM2.5, che oggi rappresentano rispettivamente il 55% e il 67% del totale delle emissioni di polveri sottili. Questo incremento è legato principalmente all’uso di biomassa, come legna e pellet, combustibili considerati rinnovabili ma che, in assenza di tecnologie adeguate, emettono quantità significative di inquinanti.
Il tipo di combustibile utilizzato per il riscaldamento domestico è uno dei fattori principali che determinano il livello di inquinamento. In Italia, molte abitazioni utilizzano ancora sistemi a gasolio o biomassa, i quali producono maggiori emissioni rispetto al gas naturale, considerato una scelta più pulita. Tuttavia, anche l’uso del gas naturale, seppur meno inquinante, non è esente da emissioni, contribuendo comunque al rilascio di CO2 e altri gas serra.
L’adozione di tecnologie più efficienti, come le caldaie a condensazione e i sistemi di riscaldamento a pompa di calore, può fare la differenza. Questi impianti, infatti, sono progettati per utilizzare meno energia e ridurre le emissioni, rispetto ai vecchi sistemi di riscaldamento. Nonostante ciò, la transizione verso queste tecnologie è ancora lenta, in parte a causa dei costi iniziali elevati e della durata media delle vecchie caldaie, che spesso continuano a funzionare per decenni prima di essere sostituite.
Negli ultimi anni, le politiche di promozione delle energie rinnovabili hanno incoraggiato l’uso della biomassa, come legna e pellet, per il riscaldamento domestico. Questi combustibili sono spesso considerati sostenibili perché provengono da fonti rinnovabili, ma il loro impiego ha sollevato preoccupazioni ambientali. La combustione della biomassa, infatti, produce grandi quantità di particolato fine (PM10 e PM2.5), che contribuiscono significativamente all’inquinamento atmosferico.
Inoltre, sebbene la biomassa possa essere rinnovabile, il suo utilizzo intensivo in aree urbane densamente popolate può portare a livelli elevati di inquinamento dell’aria, soprattutto in inverno, quando l’uso dei riscaldamenti raggiunge il picco.
Un’alternativa più pulita è rappresentata dai sistemi di riscaldamento a energia elettrica, alimentati da fonti rinnovabili come il fotovoltaico o l’eolico, che non producono emissioni dirette.
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Una delle misure più efficaci per ridurre l’impatto ambientale del riscaldamento domestico è la manutenzione regolare delle caldaie. Spesso vista come un costo evitabile, la manutenzione non solo aumenta l’efficienza energetica degli impianti, ma riduce anche le emissioni nocive. Una caldaia ben mantenuta, infatti, brucia il combustibile in modo più efficiente, emettendo meno gas inquinanti.
Un altro strumento utile è l’uso di cronotermostati e regolatori di temperatura. Impostare la temperatura domestica a livelli ottimali, come consigliato dall’OMS (21°C), permette di ridurre i consumi di combustibile e, di conseguenza, le emissioni. Ogni grado in più, infatti, comporta un aumento del 6-7% nel consumo energetico.
La sfida del riscaldamento domestico passa inevitabilmente dalla transizione energetica. Incentivi statali, come l’Ecobonus e il Superbonus, possono svolgere un ruolo cruciale nel favorire la sostituzione dei vecchi impianti con sistemi più efficienti e meno inquinanti. Tuttavia, è necessario anche un cambiamento culturale: i cittadini devono essere consapevoli dell’impatto ambientale delle loro scelte energetiche e adottare comportamenti virtuosi per ridurre le emissioni.