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Negozi di abbigliamento
Locali Commerciali, Uffici e Hotel 22 dicembre 2021

Effetto pandemia sui negozi, tra chiusure e opportunità


Nonostante i timori per le varianti, il 2021 si configura come anno di ripresa per i consumi. Di pari passo, ha dato segni di risveglio anche il mercato immobiliare dei negozi.
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Adriano Lovera

Giornalista

Nonostante i timori per le varianti, il 2021 si configura come anno di ripresa per i consumi. Di pari passo, ha dato segni di risveglio anche il mercato immobiliare dei negozi. I dati sulle compravendite dell’Agenzia delle Entrate, aggiornati al primo semestre dell’anno, hanno visto un aumento del 61,8% rispetto al 2020 e del 15,4% rispetto al 2019. Prezzi e canoni sono ancora in diminuzione e non poteva essere altrimenti, dopo le difficoltà registrate durante il lockdown, ma ora sembrano esserci spiragli di ripresa.

Parabola discendente sui prezzi

In effetti la pandemia è stata un ciclone che ha modificato diversi aspetti, legati al mondo dei negozi sia a livello di abitudini di consumo, sia a livello di mercato immobiliare. Il segmento del real estate commerciale, in parallelo a quello residenziale, già arrivava da un lungo periodo di calo costante dei valori di compravendita e dei canoni d’affitto. Negli ultimi 10 anni i prezzi sono diminuiti del 38% nelle vie di passaggio e del 42,5% nelle vie non di passaggio, secondo l’ultimo osservatorio sul settore diffuso da Tecnocasa, mentre i canoni di locazione hanno registrato una contrazione del 36% sulle vie non di passaggio e di qualche punto percentuale in più su quelle più trafficate.

Vetrine da rilocare, contratto da rinegoziare

In primo luogo, il biennio di aperture a singhiozzo che abbiamo alle spalle, ha per forza di cose ridotto i ricavi dei negozi. Questo, nel peggiore dei casi, ha portato a diverse chiusure. Dalle profumerie Douglas all’abbigliamento di Gap, passando per Accessorize: sono tante le insegne note che hanno ridotto il numero degli store nel nostro Paese oppure li hanno ceduti.

Ma spesso le chiusure hanno riguardato attività a carattere familiare, non appartenenti a catene. Nel solo 2020, Confcommercio calcola 240.000 attività non alimentari in meno (non sempre si tratta di chiusure, ma è il saldo negativo tra attività aperte e chiuse). Quando anche i negozi hanno resistito, molto spesso i proprietari degli immobili hanno concesso una rinegoziazione del canone d’affitto, che consisteva nel ribasso del canone o nella dilazione dei pagamenti.

“La ristorazione, particolarmente colpita, è in parte sopravvissuta grazie al delivery e alla possibilità, nei mesi estivi, di occupare gli spazi esterni. Nelle top location si sono liberati spazi e questo sta spingendo le operazioni di riposizionamento, rese possibili dal fatto che si ricorre sempre meno al pagamento delle key money e che, in molti casi, sono stati rinegoziati i canoni di locazione” segnala lo studio di Tecnocasa.

Rendimenti in crescita fuori dal centro

L’accordo basato sul key momey prevede che un soggetto, interessato a subentrare in un locale commerciale già occupato, accetti di corrispondere al conduttore una somma per ottenere la risoluzione anticipata della locazione e la conseguente liberazione dei locali. È evidente che in un periodo di crisi, dove molti negozi sono rimasti vuoti per mancanza di ricavi, questa sorta di “buonuscita forzata” non poteva trovare grande appeal.

Di contro, ciò significa che la disponibilità di spazi vuoi ha creato un’opportunità per quelle insegne che invece avevano ancora la forza di espandersi o che hanno approfittato proprio di questo periodo per fare il proprio sbarco sul nostro mercato. Un altro trend riguarda la spostamento, dal centro alla periferia, dove i canoni sono più abbordabili, di quelle attività commerciali che però non necessitano di particolare visibilità. Anche questa una dinamica sta rimettendo in moto gli scambi.

“C’è interesse da parte degli investitori, che restano prudenti, alla ricerca di immobili spesso già locati da tempo ad inquilini affidabili e con rendimenti che possono superare anche il 10% annuo lordo, soprattutto per le posizioni più periferiche e rischiose”.

Le città regine dello shopping

Chi è disposto a pagare 15.000 euro al metro quadrato, per piazzare un colpo immobiliare? Quello è il prezzo al metro quadro che si può arrivare a pagare per un negozio nel pieno centro di Milano, tra il Duomo e via Torino. Si risparmia, per modo di dire, per investire su un locale commerciale in corso Vercelli, dove si ragiona intorno ai 10.000 euro al metro quadro. Oppure, intorno alla cerchia dei Navigli, le quotazioni sono intorno ai 6.300 euro al metro quadro.

Ma Milano non è al top delle quotazioni, perché Firenze batte tutti: nelle vie del centro, attorno a piazza della Signoria, come via dei Tornabuoni, via Strozzi, via Calzaiuoli, via Calimala, via Roma, si raggiungono livelli di 30.000 euro al metro quadrato. E nella Capitale? Il picco è intorno ai 6.000 euro al metri quadro. Vediamo gli affitti.

“A Milano si assiste a una generale contrazione dell’offerta di spazi disponibili, potenzialmente legata ad un maggiore take up nel corso dell’ultimo trimestre. Le vie che hanno performato meglio in questo senso sono Via della Spiga e Corso Vittorio Emanuele” segnala l’osservatorio Real Estate Data Hub firmato da Re/Max. “Ma i valori relativi ai canoni di locazione faticano ancora ad adeguarsi all’andamento “positivo” dell’assorbimento di spazi”.

Non per questo, nelle vie del centro, si tratta di affitti a buon mercato. In Via Montenapoleone si sta in una forchetta compresa fra 4.600 e 10.500 euro/mq annuo, in corso Vittorio Emanuele si scende a 3.000/9.000, mentre in via Torino, con brand molto meno esclusivi, si passa a 400/2.650. A Roma, in tema di affitti stellari, solo via Condotti regge il confronto, con una forchetta compresa fra 3.900 e 14.000 euro/mq annui, mentre altre vie di passaggio importanti, come via del Corso o via del Babuino, stanno fra 700 e 5.400.

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