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L’amministratore di condominio è chiamato a svolgere un’attività di gestione complessa, che presuppone competenze qualificate in ambito contabile, fiscale, tecnico e soprattutto giuridico, connesse ai numerosi compiti che gli sono attribuiti dalla legge.
Il presupposto della responsabilità civile dell’amministratore risiede principalmente nel non aver svolto, o nell’aver svolto con negligenza o imperizia, un’attività obbligatoria posta a suo carico dal Codice civile o dalle norme generali del diritto, ma anche del regolamento di condominio, dall’assemblea e dalle leggi speciali, procurando un conseguente danno al condominio.
Al di fuori del rapporto di mandato con i condomini, l’amministratore può essere chiamato a rispondere dei danni subiti da terzi o dagli stessi condomini, in virtù della sua posizione qualificata di custodia, vigilanza e controllo delle parti comuni, da cui può discendere, principalmente, una responsabilità oggettiva extracontrattuale del professionista per mancata custodia.
Per un medesimo fatto o comportamento, l’amministratore può essere poi chiamato a rispondere, oltre che in ambito civile, anche penalmente, qualora sia configurabile una fattispecie di reato.
Da un’eventuale condanna penale conseguono tutta una serie di ulteriori conseguenze negative per l’amministratore, sia in ambito professionale che deontologico.
Ai sensi dell’art. 71, lett. b), disp. att. c.c., l’amministratore di condominio condannato per delitti contro il patrimonio per il quale la legge commina la pena di reclusione non inferiore nel minimo a due anni e nel massimo a cinque anni – quale potrebbe essere, per esempio, il delitto di appropriazione indebita aggravata – perde automaticamente i requisiti per poter svolgere l’incarico di amministratore, anche in altri condomini diversi da quello offeso dal reato. In tal caso, ciascun condomino potrebbe automaticamente convocare l’assemblea per la nomina di un nuovo amministratore.
Occorre considerare altresì le conseguenze sulla professione, connesse per esempio all’eventuale iscrizione dell’amministratore condannato a una associazione di categoria.
Per esempio, la condotta penalmente rilevante potrebbe essere censurata dalla statuto dell’associazione di appartenenza, previa adozione di sanzioni che possono portare anche all’espulsione del demerito dell’associato. Secondo alcuni, l’associazione potrebbe anche costituirsi del giudizio penale come parte civile, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del comportamento scorretto del suo associato.
Anche dopo la legge di riforma del condominio, non esiste alcun obbligo per chi vuole svolgere l’attività di amministratore di iscriversi a una associazione di categoria.
In tal senso è chiaro l’art. 2, primo comma, della legge sulle professioni non organizzate n. 4/2013, il quale chiarisce che coloro che esercitano una professione non regolamentata in ordini o collegi “possono costituire associazioni a carattere professionale di natura privatistica, fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva, con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza”.
Si tratta di associazioni volontarie, che non rappresentano in alcun modo un qualcosa di nemmeno lontanamente simile a ciò che rappresenta un organo o un collegio, il cui scopo è soprattutto quello di valorizzare le competenze di chi vi partecipa, garantendo che gli stessi partecipanti rispettino le regole deontologiche accettate al momento dell’iscrizione.
Anche sotto la spinta del diritto europeo, anche il legislatore italiano ha dettato una disciplina generale delle professioni non organizzate in ordini o collegi, tra le quali rientra quella degli amministratore di condominio.
Il primo comma dell’articolo 2 della legge 4/2013 chiama le associazioni tra professionisti a “garantire il rispetto delle regole deontologiche”, che nel disegno del legislatore devono trovare spazio negli statuti e nelle clausole associative delle associazioni professionali.
Lo stesso articolo precisa di seguito che le associazioni debbano adottare un codice di condotta ai sensi dell’art. 27-bis del codice del consumo di cui al D.lgs. n. 206/2005.
La norma di riferimento assume indicazioni di portata ancor più generale, poiché stabilisce che le associazioni o le organizzazioni imprenditoriali e professionali possono adottare, in relazione a una o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici, appositi codici di condotta che definiscono il comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tali codici con l’indicazione del soggetto responsabile o dell’organismo incaricato del controllo della loro applicazione.
Si richiamano i seguenti principii:
La Legge n. 220 del 2012 – anticipando la legge sulle professioni non organizzate – ha delineato una nuova figura professionale e deontologica dell’amministratore di condominio individuando i requisiti fondamentali per l’esercizio della professione, dettati dall’art. 71-bis disp. att. c.c.
Tra questi spicca una voce, l’onorabilità. L’amministratore di condominio deve – non solo perché obbligato da una legge dello Stato, ma innanzitutto per dare credito alla propria figura professionale, scrollando di dosso alcuni luoghi comuni in tema di scarsa credibilità, trasparenza e chiarezza della categoria – improntare la propria attività alla cultura della preparazione, dell’onestà, nel solco dei precetti contenuti nella legge n. 4 del 2013.
di Ivan Meo